giovedì 15 agosto 2024

Il cantante: Attore o Musicista?



Definirei il cantante, nell'universo della musica e del teatro musicale, una razza a sè.

La maggior parte dei musicisti, dagli amatori ai professionisti, non riesce a comprendere i cantanti! Questo ha il suo perchè: il cantante è per sua natura prima di tutto attore, e quindi poi, in secondo luogo, musicista.

E' un attore particolare però: per poter imparare a recitare, deve prima imparare a cantare con una tecnica vocale valida. Se questa tecnica vocale non c'è o è imperfetta, l'aspirante cantante non può essere attore: non riesce ad interpretare le canzoni come Dio comanda, per cui non "buca", e non riesce a farsi strada nel mondo del canto (tranne rari casi di cui si parlerà in un altro articolo).

Tutta questa complessità si può spiegare con due semplici parole , due parole magiche inventate in Italia nel lontano 1600: il "recitar cantando".

Che non vuol dire, si badi bene, "cantare recitando".

Quest' ultimo non è che una brutta, pessima copia, del "recitar cantando": non trasmette emozioni, al contrario il pubblico, ascoltando, percepisce una serie di sensazioni che vanno dall'indifferenza al disagio, poichè il brano viene "interpretato" attraverso movenze del viso e del corpo che poco hanno a che fare con un sentimento veritiero .

Da dove proviene quindi la bravura del cantante-attore? perchè alcuni riescono ad entrare nel cuore di ogni persona e altri, pur avendo anche voci interessanti, non ci riescono?

Quando si ha qualsiasi sorta di dubbio si può solamente scoprire qualcosa a riguardo tornando indietro nella storia, e quindi noi torniamo nel 1600, quando la Camerata dei Bardi a Firenze volle inventare uno stile musicale nuovo, traendo spunto dal teatro classico greco: il "recitar cantando". Chi vuole può andare a documentarsi ampliamente dalle tante fonti esistenti, qui noi faremo semplicemente un sunto pratico della " teoria degli affetti": essa prevedeva che il pubblico, anche non vedendo il cantante in viso, solo dal suono e dagli accenti della sua voce, potesse capire se il brano eseguito trattasse di allegria o malinconia, gioia o tristezza, odio o amore, diprezzo o devozione.

Questa complessità nell'esprimere così tante diverse sfumature di emozioni era possibile al cantante-attore solo avendo una completa dimestichezza della tavolozza dei colori che una voce può usare. E questa dimestichezza si riusciva- e si riesce tutt'oggi- ad acquistare, solo con uno studio puntiglioso e accurato, attento nelle sue minime sfumature. Ecco qui il perchè , lo stesso brano può risultare mediocre o sublime, a seconda di chi lo canti:  il cantante è un attore che per potere recitare, deve avere una solida tecnica canora, altrimenti si trova a non avere gli strumenti per poter esprimere ciò che vorrebbe. Esattamente come un pittore, che deve sapere usare “la luce e l'ombra” con i colori, così anche il cantante deve poter conoscere e usare tutti i colori che la sua voce possiede.

In questo punto mi collego con il mio precedente articolo: Le mille voci della Divina. In ogni stile di voce, sia esso lirica o operetta, canzone italiana ( che deriva dalla lirica), musical, pop -jazz o rock ( che derivano dal jazz e dai negro spiritual), il cantante deve poter usare "la luce e l' ombra"della sua voce.

Ciò nonostante, il lavoro non finisce qui. Poichè il cantante deve essere, come abbiamo detto, prima di tutto un attore, egli deve poter "sentire" dentro di sè il brano, anche senza cantarlo.

Sembrerebbe semplice, ma in realtà non lo è affatto, per molti giovani cantanti in erba all'inizio è qualcosa di molto difficile .... oggi più che mai si è abituati a cantare in modo superficiale, grazie al luogo comune che si è generato negli ultimi anni che concepisce la musica in veste di mero intrattenimento o, ancora peggio, come qualcosa che deve andare a colmare i momenti di silenzio; così ci si ritrova a cantare brani di grande profondità senza nemmeno fermarsi a farsi due domande per cercare di capire che cosa, in realtà, si stia cantando.

E invece, se uno si prende la briga di fare questo lavoro di approfondimento, con la guida sapiente di chi ha esperienza in campo, incominciano ad accadere veri e propri miracoli.

Sì, perchè scavare dentro un brano con questa profondità equivale a scavare dentro sè stessi. Diventa una sorta di psicoterapia, che libera dai tabù, dalle paure o dalle timidezze che ci bloccano, e permette finalmente, piano piano, di esprimere proprio vero sè.

Semplicemente recitando in tal modo le parole di un brano, o anche solo "pensandolo", molti scoppiano a piangere.

Scoprono parti di sè stessi che non conoscevano…. analizzandole, incominciano a padroneggiare sentimenti ed emozioni, e imparano come trasmetterle attraverso la musica. Aquiscono una sensibilità che prima era solo latente, proprio perchè quel determinato brano sta finalmente toccando le corde giuste dentro di loro!...

Questo, quando avviene, è qualcosa di eccezionale! E' l’ inizio di qualcosa di essenziale e indispensabile.

Non si può sperare, come cantante, di intraprendere una carriera artistica di livello senza aver fatto questo lavoro dentro di sè. Poichè, se il brano non emoziona prima di tutto colui che lo canta, è per certo impossibile che possa mai emozionare il pubblico!...

E noi alla fine diventiamo dei veri cantanti solo grazie al pubblico.

Il nostro amato pubblico che ricompensa tutti i nostri sforzi, tutti i nostri sacrifici, il tempo impegnato a studiare o a preservare la voce mentre gli amici escono e si divertono…. Tutto ciò viene dimenticato quando il pubblico ti dice col cuore a fine serata: "grazie, grazie, grazie".

lunedì 21 settembre 2020

La Cultura è contagiosa!


La Cultura appassiona il cuore, stimola la mente, 

coinvolge il fisico e lo spirito umano!

 

La gioia, l’entusiasmo, il coraggio, la voglia di superare i propri limiti sono emozioni contagiose. I più grandi Pensatori e Filosofi hanno sempre sottolineato il valore della positività e dell’assertività nell’educare le nuove generazioni.

Piuttosto che dire :“ non stare tutto il giorno davanti allo schermo!”, è molto più utile proporre attività contrarie come: “perché non cantiamo qualcosa insieme?” Oppure, facendo leva sulla creatività  propria e del proprio figlio: “facciamo un disegno per mamma?”.  Questo modo di agire è assai più incisivo e da’ risultati migliori, dal momento che il nostro inconscio non riconosce e quindi non accetta la negazione. Ricordiamoci che dire “NO, non fare”,  per il nostro essere piu’ profondo, equivale a dire “fai!”

In questo modo, si sviluppa, oltre alla creatività, anche la curiosità della persona. E la curiosità è un fattore indispensabile affinchè il desiderio di Cultura attecchisca nell’animo dell’essere umano. E’ assai singolare il fatto che nel XXI secolo questa conoscenza sembra essere in maggior parte ignorata dall’Istituzione Scolastica Pubblica.

Le nozioni a scuola sono frammentate e separate e vengono imposte al ragazzo ancor prima che egli stesso abbia dimostrato curiosità o interesse ad apprenderle.

Di fatto, si trattano bambini e ragazzi alla stessa stregua di vasi vuoti da colmare con nozioni e nozioni, che, nella maggior parte dei casi, appesantiranno le loro menti senza alcun coinvolgimento emotivo da parte loro tantomeno pratico.

La giustificazione a questo modello di costrizione forzata dello studente è il dato di fatto che studiare è un bene.

Rudolf Steiner, fondatore dell’Antroposofia nonché grande Pedagogo, già alla fine dell’800 però sosteneva la tesi che “forzare a fare il bene” è pur sempre una prepotenza all’ animo umano, di natura libero, e proprio perciò questo comportamento andrebbe evitato.

La costrizione a studiare controvoglia grazie al timore di una punizione, in realtà, oltre a eliminare ogni traccia di curiosità e creatività nel giovane allievo, a lungo andare, svuota di significato anche la parola stessa di Cultura. 

In realtà, basterebbe poco per ritornare nella Via giusta. Ponendosi una unica sola domanda: perche’? Si puo’ veramente scoprire il mondo.

I bambini lo sanno bene, infatti è una domanda che amano molto fare: soprattutto i più piccoli, prima che la società blocchi il loro naturale desiderio di conoscenza.

Sarebbe molto importante per tutti, piuttosto che castrare il desiderio di comprensione ed indipendenza dei bambini, imparare ad osservarli e riacquistare conoscenza da loro, come l’innocenza e la spontanietà perdute, nonché la profonda conoscenza intuitiva delle cose.

 


 

L’istruzione è l’arma piu’ potente che abbiamo per cambiare il mondo” diceva il grande combattente Nelson Mandela.

Ma di che tipo di istruzione egli parlava? Sicuramente, non delle sterili manifestazioni culturali/artistiche che vengono spesso usate per ostentare vanagloria:  porta privilegiata per i tristi sentimenti di competizione, ansia, aggressività, e solitudine.

La Vera Cultura è sempre stata uno strumento d’espressione del popolo per il popolo, che, alcune volte, può (e oserei dire, deve) diventare uno strumento di denuncia; un modo di parlarsi in codice superando la censura del tempo. L’Arte e la Cultura sono il modo più geniale che l’essere umano abbia trovato per coltivare il seme della Conoscenza nei propri simili: attraverso un dipinto, una canzone o un libro, ognuno impara a farsi delle domande logiche, lecite, sensate; quindi a cercare da sé risposte che nascano da una propria ricerca personale, piuttosto che da un luogo comune o un’idea preconcetta.

Un concerto che tocchi l’anima insegnerà ad ascoltarsi, a fare un passo avanti nel conoscere sè stessi e gli altri nel profondo. Sono tutti semi di pace, forza e stabilità che immancabilmente sbocceranno nel momento giusto in ogni persona.

Se la Cultura perde questi scopi e significati non può più essere chiamata tale; essa diventa un mero strumento di servizio e propaganda dei poteri forti.

Ai tempi di Giuseppe Verdi, per esempio, tutto il popolo conosceva a memoria la trama e la musica della sua opera giovanile “Il Nabucco” che denunciava l’invasore austriaco attraverso la metafora del popolo ebreo sottomesso.  Ecco perché il celebre brano corale “Va pensiero” è sempre attuale contro l‘oppressore.

Ma anche nella musica leggera abbiamo sempre avuto canzoni di denuncia: dai Nomadi a De Andrè, da Celentano a Mina, ognuno a modo suo ha denunciato la società e sue incoerenze. Attraverso la satira, si è potuta colpire in modo eccelso l’ipocrisia del microcosmo, quale il piccolo paese di provincia come le nefandezze e le atrocità del mondo più grande e vasto nel quadro politico nazionale e internazionale della propria epoca.

Poniamo attenzione quindi al modo di educare le giovani generazioni! Ricordiamo sempre che l’insegnamento si deve basare prima di tutto sul loro personale desiderio di “imparare, scoprire, creare”. Quando la passione, l’entusiasmo e la curiosità vengono accesi, i ragazzi stessi capiscono da sè l’importanza di costruirsi un metodo di studio e mantenere una disciplina costante, per poter raccogliere i frutti di ciò a cui ambiscono.

Pur avendo ben chiaro che il fine non giustifica i mezzi, anzi, i mezzi sono l’Alfa e l’Omega, non distogliamo l'attenzione dall’obbiettivo che ci siamo prefissi.Solo cosi' potremo andare lontani e realizzare pienamente i nostri talenti ed il nostro potenziale.

Alla luce di questa consapevolezza, lo scopo della Cultura  non è quello di trovare un lavoro. Lo scopo della Cultura è quello di risvegliare le coscienze e gli animi, di formare un essere umano sano ed equilibrato in tutte le sue sfaccettature. Una volta che questo accade, il lavoro arriva di conseguenza.

Sara Nastos




giovedì 4 giugno 2020

Le mille voci della Divina




Maria Callas è stata un mito. Chi non la conosce forse pensera’ sia il soprano con la voce piu’ bella e potente della storia, o con la carriera piu’ lunga….nulla di tutto cio’. Eppure è stata sicuramente il soprano piu’ famoso nella storia dell’Opera lirica.
Chi l’ ha conosciuta, anche solo attraverso i suoi dischi, la descrive semplicemente con due parole: La Divina.
Ma quale era il suo segreto? Sicuramente il suo essere un’attrice che invece di recitare in prosa, recitava cantando. E come poteva questa donna interpretare ruoli cosi diversi e distanti tra loro non solo interpretativamente ma anche vocalmente?
Per me questo è rimasto un mistero per lunghi anni, come penso pure per molti cantanti, musicisti e direttori.  Non era pero’ un mistero per i colleghi della Callas stessa , i  quali cantavano anche loro nel medesimo modo. Beniamino Gigli, Mario del Monaco, Tito Gobbi: anche essi riuscivano a passare da ruoli lirici o lirico leggeri  a ruoli drammatici con una facilita’ estrema, sia nella voce che nell’ interpretazione teatrale.
Personalmente ho avuto la grande fortuna di essere stata selezionata giovanissima per i Master class con il mezzosoprano Christa Ludwig ed il basso greco Nicola Zaccaria; la mia stessa insegnante presso il Conservatorio Statale di Atene, Kiki Morfoniu, era stata Adalgisa e Neris al fianco della Callas nelle rispettive opere Norma e Medea, al Festival di Epidauro negli anni '61 e '62.
Ciascuno di questi grandi interpreti mi ha donato un pezzettino dell' infinito puzzle del "Recitar cantando", e accanto a questi celebri artisti si respirava veramente " aria di teatro".



Eppure, solo quando ho incontrato la signora Barthelemy e la sua opera d’ ingegno, il Metodo vocale chiamato “La voix libereè”, sono riuscita a capire in profondita' i movimenti tecnico-vocali che permettevano a questi grandi cantanti di creare tali alchimie con la loro voce, talmente sublimi da sembrare sovrannaturali.
Al primo impatto il Metodo di Yva Barthelemy pare eccentrico, originale e all’avanguardia; ma dopo 15 anni che lo pratico e lo insegno, essendone formatrice certificata, ho compreso che esso è in realta’ assolutamente ancorato alla tradizione operistica del Belcanto Italiano, ed è un mezzo indispensabile per comprendere nel profondo il "Recitar cantando" italiano.

"Lò A Lò": questo è il vocalizzo chiave su cui si basa tutta la tecnica.

Piu’ che un vocalizzo sembra un esercizio ginnico per la voce: La O deve essere scura, coperta come la parola “l’eau” francese, con bocca in verticale. La A deve essere aperta, una chiara A italiana, sorridente e orizzontale. Queste vocali vengono alternate vocalizzando cinque note. Se l'allievo riesce a vocalizzare nel modo corretto questo esercizio in tutta la sua estensione, allora sa cantare. Un aforisma di Edouard Manet  puo’ aiutarci a comprendere : “In una figura, cercate la grande luce e la grande ombra, e il resto verra’ da sé”. Infatti questo vocalizzo, piu’ che un punto di inzio è un punto di arrivo. E’ una bussola ed un faro in mezzo alle mille contraddizioni del canto.

Tutti sono d’ accordo sul fatto che il canto sia molto difficile da insegnare proprio perché è uno strumento nascosto, nonchè collegato alla psiche.  Ricordo ancora le innumerevoli volte in cui incantata assistevo alle lezioni di arte scenica del celebre baritono greco Kostas Paskalis, che ha ci tramandato generosamente i suoi i segreti dell'interpretazione teatrale. Mi rendo conto che in quei momenti capivo intuitivamente i sottili equilibri che governano la voce, proprio grazie allo studio delle emozioni e dei sentimenti espressi attraverso il corpo ed il linguaggio non verbale.
Negli anni di professione e ricerca personale posso dire di aver capito completamente anche in maniera logico-razionale quello che voleva trasmetterci, grazie al Metodo di Yva Barthelemy. Essa in gioventu' ascolto' ed osservo' scrupolosamente Maria Callas  dal vivo durante i suoi ultimi concerti a Parigi,  in modo da comprendere a fondo i meccanismi della sua stupefacente vocalita', fortemente legata alla postura del corpo e alla gestualita'.

Alcune persone oggi pensano che la tecnica possa in qualche modo “imbalsamare” il cantante. Niente di piu’ distante dalla realta’… la vera tecnica libera il cantante.
‘E pur vero che all’ inizio, nei primi anni di studio, si pensa solo alla coordinazione dei vari movimenti ed il lavoro è principalmente tecnico-mentale.
Ma esso è un lavoro indispensabile per poter formare la tavolozza dei colori della voce, cosi' da poter esprimere spontaneamente la propria anima.
L’anima vive di emozioni contrastanti: serenita’, speranza, gioia…. malinconia, tristezza, timore…. sdegno , rabbia , disperazione…..coraggio, paura… le sfacettature sono infinite. 





Non si puo’ certamente esprimere con lo stesso suono emozioni cosi’ diverse . Nell'opera lirica la parola d' ordine è "Recitar cantando":
espressione significativa e precisa,  che non significa cantare recitando. Oggi purtroppo questa differenza essenziale si sta perdendo. E’ molto raro sentire le emozioni attraverso la voce di un giovane cantante lirico. Principalmente tutti i giovani talenti hanno belle voci, ottimi strumenti musicali , ma questa sterile tecnica non è consona all'Opera Lirica per come era stata concepita dai suoi autori. Essi chiedevano agli interpreti, prima di tutto, di trasmettere le diverse emozioni unicamente attraverso il suono, senza alcun aiuto o elemento scenico.
Al giorno d'oggi purtroppo Teatri e Fondazioni Liriche, avendo un ritmo stringato e precedenze di business manageriale, spesso dimenticano le regole sacrosante della tradizione del passato.
Ai cantanti è richiesto generalmente di saper usare un colore scuro per le opere drammatiche ed uno piu’ chiaro per le opere buffe, per cui oggi, fatta eccezione di pochi grandi nomi del panorama lirico mondiale,  i “colori  vocali “ si sono ridotti drasticamente.  Ma questa non è sicuramente l’ Opera per come era stata concepita. 
La Camerata de’ Bardi nella bella Firenze del 1600 invento' il Recitar cantando (ovvero l’ Opera lirica) sulla base della teoria degli affetti (cioè le emozioni) .
E’ importante ricordarlo sempre, è fondamentale non dimenticare le proprie radici. 

Personalmente sono inifinitamente grata dell’opportunita’ che ho avuto, nel mio percorso di studi e di ricerca, nel seguire prima i grandi cantanti del passato, quindi la signora Barthelemy quando ero gia' una cantante professionista.
Riuscire a carpire i segreti dei miei idolatrati cantanti per me è stata un’enorme soddisfazione. Come anche comprendere che, incredibile ma vero, quando si capisce il meccanismo, tutto diventa semplice. Tutto acquista un senso come in un puzzle in cui i vari pezzi trovano il loro posto preciso, e il lavoro tecnico- artistico si avvale di una precisione scientifica. Nulla piu’ viene affidato al caso.
Tutto ha una causa ed il suo effetto. La cosa meravigliosa è che, comprendendo in profondita’ il Metodo, si riesce a trasmettere questa immensa eredita’ artistica alle nuove generazioni. "La voce liberata" puo' diventare cosi' strumento dell' “ L’anima liberata” per ogni giovane artista.
 
Sara Nastos